IMPIANTI
Complesso Monte Amiata [quartiere Gallaratese] Aimonino Arch.
MED in Italy sarà visitabile a BolognaFiere per tutta la durata di Smart City Exhibition (Bologna, 29-31 ottobre 2012). Saranno presenti componenti del team che ha realizzato il prototipo abitativo per illustrarne le caratteristiche, in particolare quelle che fanno della casa un nodo delle nuove reti intelligenti digitali delle città. La struttura, infatti, è dotata di un "green Box", una vera e propria scatola nera, collegata a una rete intelligente di sensori wireless a basso voltaggio, che lavora in modo integrato, monitorando tutte le prestazioni e caratteristiche della casa, dal comfort al bilancio tra produzione e consumi elettrici, segmentati sulle singole utenze, fino allo "stato fisico" di porte e finestre e agli impianti.
Durante Smart City Exhibition MED in Italy sarà visitabile anche “virtualmente”: infatti tutte queste informazioni raccolte dal “green Box” e inserite in un database storico verranno interrogate e trasmesse via web in tempo reale grazie a un innovativo sistema 3D in rete, su protocollo WebGL, attualmente tra i campi di ricerca di aziende come Google. Il tutto realizzato mettendo in campo un sistema che usa protocolli di rete, aperti, abbassando i costi e rendendo di fatto estendibile il suo uso al patrimonio edilizio, con lo scopo ultimo di aumentare la consapevolezza degli utenti, mettendoli al centro del sistema di controllo e monitoraggio del proprio ambiente di vita.
Scrivendo, invece, negli anni ottanta il grande storico della scienza Gerald Holton ha rimarcato come questa unità culturale fosse ormai spezzata, producendo una proliferazione di “sottocomunità di esperti” prive di riferimenti e motivazioni non settoriali — una vera e propria “minaccia” a quello stesso ideale di moderna società aperta che pure la scienza aveva cosi potentemente contribuito a creare. L’imporsi di varie “tecnoscienze" sembrerebbe aver concretizzato l’incubo di un heideggeriano potere degli apparati, totalmente svincolato dall’impaccio della “verità”. ln tale contesto, parrebbero aver ragione quei rappresentanti dell’“umanismo" che vedono negli scienziati delle infelici figure di «specialisti ignoranti».
Quando si diceva arti visive, s’intendeva la pittura e – alla giusta distanza dettata dal loro carattere più prossemico – la scultura e l’architettura. Adesso, quando si dice visual art, vengono in mente operatività tecnologicamente avanzate, post-chirografiche: qualcosa che c’entra più con il cad (computer-aided design) e la cgi (computer generated imagery) che non con i tradizionali supporti pre-elettronici. E non si tratta di dire, come fa Lev Manovich, che i new media sono la traduzione digitale degli old media analogici: la digitalità non è ancora una cultura acquisita senza residui e resistenze, bensì un orizzonte d’attese tutto da conquistare, come una sorta di far west dell’immaginario tecnologico, l’ultima frontiera dell’ars gratia artis.
Centralizzare in pochi punti l’elaborazione, lo storage dei dati, rendere efficiente il loro accesso remoto con apparati di rete moderni - non è un caso che ipv6 e spdy siano in rolling out proprio in questo periodo.Se paragonassimo la tecnologia cloud alla distribuzione della corrente elettrica i risultati sarebbero evidenti: nessuno ha un generatore tra le mura domestiche o in ufficio, non sarebbe in primo luogo economico.
La tecnologia web ha un costo ambientale non indifferente, un po’ come una enorme “biblioteca” ha dei costi di gestione. Google è consapevole dell’impatto della sua tecnologia, per questo ha deciso di muoversi per migliorare la situazione e, ovviamente, per presentare i risultati ottenuti.
Sono disponibili almeno 3 grandi risorse che testimoniano la bontà e l’impegno speso:1. un sito dedicato all’ overview dei datacenter2. il portale Google Green3. un whitepaper di sintesi sull’efficienza energetica dei sistemi
Google sta intervenendo in diversi ambiti, dal risparmio alla produzione di energia rinnovabile. Il primo grande risultato è che, parlando in termini di data center, quindi senza considerare la parte di corrente spesa nelle infrastrutture di rete, utilizzare i prodotti web erogati per un mese costa, in consumo, l’equivalente di 3 ore di una lampadina da 60 Watts. Se al calcolo sommiamo la corrente elettrica generata da Google stessa, scopriamo che dal 2007 ad oggi l’impatto ambientale dei data center è pari a zero.
Un mese di Google Apps costa quanto una lampadina da 60 Watts accesa per 3 ore Studi indipendenti confermano che Google utilizza meno dello 0.01% dell’elettricità globale. Questo risultato è stato possibile grazie alla realizzazione di un’architettura virtuosa che consente di risparmiare il 50% di consumo elettrico rispetto a strutture di calcolo analoghe.Altri punti a favore dell’azienda di Mountain View sono rappresentati dall’utilizzo di energia derivata da impianti eolici e solari; spesso le farm dei server vengono realizzate vicino ai generatori a vento per consentire di mantenere competitivo, anche per i fornitori, il prezzo delle energie rinnovabili, e la massima attenzione nella ricerca dell’efficienza energetica (che comprende quindi la misurazione del tasso PUE, un indice industriale usato per la stima dei valori energetici, il controllo dei flussi di aria refrigerante, l’aumento della temperatura media interna alla farm e l’impiego di fonti naturali di raffreddamento) hanno portato a zero l’impatto ambientale dei centri di elaborazione, come riportato anche dallecertificazioni ricevute in merito.Un altro fattore chiave da considerare è il carbon offset, cioè la differenza tra l’anidride carbonica emessa e quella invece compensata. Non è possibile infatti evitare di rilasciare nell’atmosfera gas nocivi, tuttavia si può intervenire e pareggiare le emissioni acquistando o producendo energia da fonti rinnovabili ed aiutando anche altre aziende esterne ad entrare nel processo di risparmio: Google ha investito e sostenuto questi progetti indipendenti con campi di applicazione che vanno dalla raccolta dei rifiuti agli allevamenti di bestiame.
Esempio di carbon offset in un allevamento di bestiameGoogle però possiede anche sedi, uffici, veri e propri campus in cui va curato il benessere delle persone più che dei server. Per questo motivo gli sforzi spesi in tal senso hanno portato alla realizzazione di numerosi programmi bike-to-work, alla costruzione di edifici “green” per un totale di 420 000 metri quadrati, all’introduzione di navette e trasporti elettrici che consentono di risparmiare l’uso di 2000 auto ogni anno per un totale di 22 500 000 km, all’installazione di un impianto fotovoltaico da 3 000 000 di kWh nel solo campus di Mountain View. Le spese sostenute arrivano ad un ammontare di 915 milioni di dollari.
Il nostro contributo - Gli utenti finali che utilizzano la tecnologia Google possono leggere ed essere informati degli sviluppi ecologisti e del lavoro fatto fin ora. Le imprese e le organizzazioni che invece si avvalgono di sistemi dedicati ed interni dovrebbero invece riconsiderare, anche in termini di impatto ambientale, le loroinfrastrutture IT: scegliere la suite Google Apps è infatti il modo più semplice ed economico di aderire ad una soluzione eco-friendly e più rispettosa delle necessità del pianeta.
Nei soli Stati Uniti, uno studio condotto sull’ U.S. General Services Administration ha stimato che l’utilizzo delle Google Apps da parte dei suoi 17 000 dipendenti abbia portato ad un calo di circa il 90 percento del consumo elettrico e di approssimativamente 85 percento per quanto riguarda il rilascio di anidride carbonica, con un risparmio annuale monetizzabile in 285 000 dollari.Tutti questi risultati sono possibili perchè i servizi cloud incrementano il livello di sfruttamento delle macchine server minimizzando allo stesso tempo il consumo energetico.
The Dr Bhanuben Nanavati College of Architecture (BNCA) is hosting a series of workshops on digital architecture, the first of which began on Saturday. The college offers an M.Arch degree in digital architecture. Italian architect Stefano Converso says, “It is not enough to create designs virtually, you also need to find people capable of translating these designs into finished structures.” Ingrid Paoletti, assistant professor, BEST Department from Politecnico di Milano, Italy, agrees. “Universities and colleges are the perfect place to explore the full capacity of this nascent field,” she says. Converso and Paoletti are in town for the weekend as part of a workshop organised for BNCA students on ‘Digital Technologies for Component Design’. Converso adds, “On Friday, I had gone with Ingrid to buy fabric. Incidentally, we liked the same piece. When we asked the shopkeeper for two pieces, he refused! He said they didn’t have two pieces that were exactly alike. Now imagine that kind of customisability and personalisation in architecture.” Anurag Kashyap, principal, BNCA, elaborates, “The greatest advantage of digital architecture is that it lets you measure all potential variables during the creation process itself. You can design a structure and test it by all possible parameters such as environmental impact and weather.” Converso sums it up succinctly, “Digital architecture is inevitable. 15 years from now, I believe the prefix ‘digital’ will be dropped and it will be the only form of mainstream architecture.” |