domenica 22 gennaio 2012

MODULO 2011



-se parliamo di grandi opere  e di archistar siamo in presenza di un circuito consolidato e di grande esperienza: Catia ha ormai più di una quindicina di anni, ci sono Arup ed epigoni, imprese selezionate. Quando ci muoviamo in un "diffuso", particolarmente in Italia, le cose cambiano? Quali sono le caratteristiche, le operatività, le criticità per opere a scala minore ( di complessità, costi etc)?


Le criticità maggiori non sono negli strumenti ma nelle persone.  Il motto che era dei cyberpunk  "The future is here, it's just not widely distributed yet" si adatta bene alla situazione della cultura software in campo edilizio.  Il diffuso offre grandi occasioni di sperimentazione a maggior ragione alla scala piccola italiana, che è caratterizzata, in potenza, e molto spesso nei fatti, da grande flessibilità, dimostrata in varie esperienze sul campo. Come giustamente sottolineato, il Guggenehim di Bilbao ha ormai vent'anni di vita: la ricerca non è nella forma da raggiungere, ma nei processi che ad essa conducono, e nell'allargamento delle persone coinvolte, in cui l'università può avere un ruolo importante. In proposito mi piace citare quanto dichiarato nel 2008 da Furio Honsell, all'epoca rettore dell'università di Udine:  "Vi è un unico rischio serio, quello di vivere la rivoluzione digitale in modo meramente strumentale e tecnologico. L'autentica cultura informatica è invece quella che sa riconoscere la componente procedurale, algoritmica, strutturale in ogni attività e disciplina, come una componente irriducibile ad altri paradigmi conoscitivi"
-Il progettista generale, forse, con gli attuali sistemi BIM riesce a gestire il progetto complesso fino ad ambiti avanzati, ma forse il limite è nell'ingegnerizzazione finale, da cantiere, in cui entrano professionalità poco sviluppate in Italia oggi e una cultura d'impresa aperta alla tecnologia non facile da trovarsi....
Il vero problema e collo di bottiglia a mio avviso consiste nel costruire e alimentare nuove figure professionali, che si occupino di mettere in campo le possibilità di rottura di alcuni recinti disciplinari introdotte dal digitale anche nel settore edilizio e della progettazione: una innovazione che spesso le aziende capiscono molto prima del settore della progettazione: la sartorializzazione, la nascita delle "Architectural Divisions" in molte aziende  testimoniano di un rapporto molto più dialogico tra conoscenze sui prodotti e i processi produttivi e relative strategie progettuali: in molti casi si apre la possibilità di progettare il materiale stesso e sfuma la distinzione tra prodotto e servizio. Processi di questo tipo necessitano di persone di tipo nuovo, che colgano le possibilità di collegamenti tra progettazione, analisi e produzione a tutti i livelli, e possano renderle efficaci, non solo in un aumento della produttività e la riduzione degli errori di calcolo e valutazione economica, cruciali in un periodo di margini ridotti come quello che attraversiamo, ma anche in un coinvolgimento più importante degli attori coinvolti, necessario alla vera riuscita di un'opera. Ed è indubbio che la trasparenza dei processi, altra conseguenza importante del digitale, ma molto delicata, diventa in questo ambito cruciale.  A questo riferisco la mia ultima domanda: perché insisto tanto sul tema della rete


La rete è il vero orizzonte di ricerca in questo settore: è il passaggio mancante, e lo è, come detto prima, in chiave umana, ma in questo caso anche tecnologica. Da tempo molti strumenti di project e construction management si sono spostati su tecnologie web ed è indubbio che chi lo ha fatto ha visto lungo. Ma avere un luogo di gestione basato sugli allegati in linea, visibile online, onsite e da casa, pur essendo già una innovazione importante non basta.  Serve un vero punto di dialogo, lavoro e pubblicazione del progetto in corso, in linea, che rompa la frontiera tra software locale e pubblicazione/condivisione dei dati in rete.  Si parla molto di tecnologie Cloud, ma la loro applicazione in architettura è ancora primitiva, in molti casi si fa riferimento a scambio FTP ed e-mail anche in progetti ad alta complessità. 

Generare sistemi in rete di simulazione del progetto in corso, dove il modello, paradigma ormai inevitabile della progettazione contemporanea, sia visibile in linea e interrogabile facilmente, non solo su questioni economiche ma anche, ad esempio, di simulazione in esercizio. E resti poi, ad opera compiuta, come riferimento per le attività di facility managament e monitoraggio delle prestazioni collegando il modello in rete alla la home automation integrata e alla sensoristica edilizia. Con settori del sito/modello aperti ai fruitori dell'edificio in chiave di consapevolezza energetica, come testimoniano ricerche recentissime e in corso da parte dei colossi energetici in partnership con aziende come Google o IBM.

E' in questo settore che vedo la sfida tecnologica e umana per il digitale in architettura: bisogna evolvere il Cloud Computing in quello che ho definito "Cloud Design", cioè alla presenza contemporanea e interattiva di più figure nel processo di progettazione e realizzazione, attraverso la fusione tra culture del modello e rete.  Già Alvaro Siza, grande firma della progettazione internazionale, ha insistito su temi analoghi pur senza nominare necessariamente la questione digitale, dichiarando: 

"Nella società in cui viviamo è impensabile il progetto senza dialogo, senza conflitto e incontro, senza dubbio e convinzione, alternativamente, nella conquista di simultaneità e di libertà". 
Nelle poetiche e nel lavoro di molti esiste già una mentalità aperta di questo tipo: quello che è decisivo del digitale è che esso è in grado di metterla in campo per tutti, come processo esteso e condiviso, e come tale di enorme impatto potenzialeBisogna quindi costruire e promuovere una cultura digitale in grado di accoglierlo, e non di strozzarlo sul nascere.

giovedì 5 gennaio 2012

Pesce [cellini 2003]