lunedì 29 ottobre 2012

specialisti ignoranti

Giulio Giorello
114-115 - le due culture, snow.


Singolare paradosso: ciò che aveva fatto della “Repubblica delle Lettere” una società di spiriti liberi (una vera e propria “società aperta" che precede quella politicamente realizzata nella nostra stessa Modernità) avrebbe infine prodotto una società chiusa di specialisti, in cui i cultori delle varie discipline fanno grande fatica a intendersi. Nel suo saggio, che e degli anni cinquanta del secolo scorso, Snow concede ancora che gli scienziati di diversa matrice - matematici, fisici, biologi eccetera - abbiano una sorta di cultura comune, almeno in senso antropologico: pur non riuscendo a capirsi appieno, condividono standard o finalità. Si riconoscono nelle stesse norme metodologiche, hanno lo stesso codice di onestà
intellettuale.
Scrivendo, invece, negli anni ottanta il grande storico della scienza Gerald Holton ha rimarcato come questa unità culturale fosse ormai spezzata, producendo una proliferazione di “sottocomunità di esperti” prive di riferimenti e motivazioni non settoriali — una vera e propria “minaccia” a quello stesso ideale di moderna società aperta che pure la scienza aveva cosi potentemente contribuito a creare. L’imporsi di varie “tecnoscienze" sembrerebbe aver concretizzato l’incubo di un heideggeriano potere degli apparati, totalmente svincolato dall’impaccio della “verità”. ln tale contesto, parrebbero aver ragione quei rappresentanti dell’“umanismo" che vedono negli scienziati delle infelici figure di «specialisti ignoranti».
Quest’ultima locuzione e, ovviamente, di Snow; il quale, per altro, aveva buon gioco a mostrare come molti “umanisti” fossero anch’essi, a modo loro, degli “specialisti°°, e soprattutto degli “ignoranti”. In una vena pessimistica, sarei tentato di dire che, almeno in Italia, le cose sono ancor più complicate sia per il retaggio crociano (la scienza, per Benedetto Croce, era semplicemente «un libro di ricette di cucina»), unito all’ingombrante presenza degli eredi di coloro che hanno condannato Galileo, sia per la nascita di discipline ridotte a equivoco, come la cosiddetta bioetica: un settore ove si sprecano citazioni del “principio di precauzione” stile Jurgen Habermas (se si adottano tecnologie e, più in generale, linee di intervento solo quando si è assolutamente certi che non vi sia rischio alcuno, ci si condanna di fatto a un perpetuo stato di non azione - per usare un’immagine del vecchio ]ohn Locke: «E come se ci lasciassimo morire di inedia a casa nostra, perché non siamo assolutamente sicuri che  non ci sia qualche pericolo in agguato per strada»).

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